martedì 29 marzo 2016

Del concetto di rinascita e altri buoni auspici.

Riti d'assaggio, di passaggio e tentativi ferrati di pazienza: uova e galline.

Uova gallinate/Galline ovattate
Uova gallinate/Galline ovattate

Qualche giorno fa, del tutto casualmente,  ho rivisto  una cara amica, guida e compagna di percorsi formativi in una delle mie vite precedenti, vissute in questa vita. È, del resto, sempre stimolante fare i conti con gli effetti del tempo che cambia le circostanze e modifica gli assetti. Abbiamo chiacchierato piacevolmente, come sempre e, come sempre, mi è rimasta cucita quella sensazione tanto familiare del tempo che è passato senza lasciarmi neppure un avvertimento. Fa sempre così, il  mio tempo: descrive scenari nei quali dovrei essere protagonista consapevole e, invece, mi percepisco estranea in vita mia. Bisognerà che mi abitui, prima o poi. Forse!

Nel frattempo è arrivata la Pasqua, e anche la Pasquetta, e sono scivolate via veloci entrambe, in questo calendario ricorrente, un po' disordinato e spesso vorticoso. Mi incuriosiscono molto, i riti di passaggio: sono un volano di suggestive analisi e illusorie ricerche che, se pure non producono risposte né risolvono scoperte, almeno occupano un paragrafo rilevante nel manuale delle tradizioni popolari, culturali e socio-esistenziali. Così, mi sono lasciata prendere dal folletto delle sperimentazioni pasticciate, in cucina. Un po' di leggerezza, un pizzico di fantasia, qualche spunto carino qua e là et hoplà, la pozione è presto fatta.  Tra l'ancestrale passar oltre dell'etimologia pasquale e l'atavico interrogativo evoluzionista del primato dell'uovo o della gallina, sinergia di potenza ed atto, prerogativa di sillogismi e irrisolti arcani esistenziali, ecco, forse, alle volte, le sovrapposizioni sono una soluzione: uovo gallinato/gallina ovattata. La sintesi, intesa come univoca e decisiva scelta, non è  una strada che io riesca mai a praticare agevolmente: finisco sempre con il perdermi  tra gli arzigogoli fantasiosi e stravaganti del pensiero. 

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mercoledì 9 marzo 2016

Io, le amiche, Monet e #Nostivali a Torino

Monet: il dolore di un uomo, lo spazio tra il motivo e me.

In sospensione di sguardo velato.

Torino, GAM- febbraio 2016, #nostivali. 


Camille Monet sul letto di morte.
Camille Monet sul letto di morte (1879) olio su tela (90x68 cm), C. Monet

 Musée d'OrsayParigi

Tra le pennellate immerse di luce del mio prediletto Monet, delicati cromatismi di antagonisti complementari si miscelano in giochi d'acque riflesse. Mi riempio gli occhi di immagini evocative. L'impressione è un colpo alto che cattura lo sguardo e veicola la suggestione: non è il "come", che mi affascina, ma il "dove" mi conducano quei tocchi di colore minuziosamente studiati e disposti. Il riverbero di luce e riflessi inonda le tele e ondeggiano lievi, le barche sospese a filo d'orizzonte.


Le tavolozze di turchese e verde-acqua, da me sempre amate, si illuminano di vorticosi bianchi che, con mano ferma e sapiente, approfondiscono e schiariscono gli abissi. Variazioni formali e ricerca della luce, toni del blu violetto e gradazioni di oltremare prevalenti, con barlumi di gialli, aranciati e rossi, riflessi in lastre d'acqua solidificata che sembrano immobilizzare, nel sottopiano, il movimento del mondo sovrastante: il "mio" solito Monet.

Ma non sono le ninfee, né le bucoliche colazioni, le barche argentine o i giochi di ombrelli e piante, a imprimere il segno caratterizzante di ciò che mi rimane, del passaggio tra i corridoi di questa mostra.

Non riesco a distogliermi, piuttosto, dalla fascinazione inquieta e irreversibile della trasposizione che muta la vita in morte.
"Camilla Monet sul letto di morte" catalizza ipnotica la mia attenzione. Il capo chino e velato, abbandonato all'estrema fine, della donna non riesce ad acquietare la grave coltre di dolore che, invece, pare urlare la mano del pittore che la ritrae. E lì, in alto, sulla destra, percepisco irati e accusatori, gli occhi dell'innamorato che recrimina l'abbandono, in un rimprovero svelato.
Ma lo sguardo si adagia, placato, sul lenzuolo bianco, scivolando rapido sulle discromie del viso che si infossa, piegato dal rigore. 
Eppure... 

Claude Monet, Studio di figura en-plein-air – Donna con parasole verso destra, 1886. 
Olio su tela ( 131x88cm) , Musée  d'Orsay, Parigi
Eppure, ritorno lì, in alto. E aspetto di percepire la consolazione. Maturerà, con il tempo. 

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