martedì 6 settembre 2016

Delle amiche, dell'alcool e dei dolci.

«La differenza essenziale tra piacevolezza e frivolezza nelle situazioni compromettenti, ma non troppo.» 


Teresa e Rebecca chiacchierano, sdraiate a piedi incrociati sul letto, l'una a testa e l'altra a piedi: posizione classica da confidenze femminili, quando il letto diventa un campo di battaglia farcito di dolciumi e stuzzichini, rigorosamente buttati giù con intrugli ad alto tasso alcoolico. 
Il discorso, serio ed intricato, si arrampica tra analisi strascicate e bonbons al cioccolato.
«Sai che c'è? C'è che alla fine questi uomini non sono più abituati ad andare in profondità; ad intersecare i loro desideri o le voglie del momento con le nostre ipotetiche ed iniziali resistenze.  O è sì subito o non se ne fa nulla.» biascica compita Rebecca, godendo appieno, tra una parola e l'altra, del ripieno al rum della pralina al cioccolato fondente rivestita di mandole a scaglie.
«È una specie di costante, ormai… Brevi rincorse, rapidi incontri e, puf, al primo stop si defilano veloci e spariscono, neanche fossero un gas. Tempo! Tempo, ci vuole, Terè… Tempo per elaborare le nostre girandole di pensieri arzigogolati e tutte le piroette che dobbiamo sfumare, analizzando i loro minimi gesti.»
E intanto Teresa, lemme lemme, placida e sorniona, con occhi a fessura osserva concentrata la caramella ricoperta di zucchero e colorante rosa, indecisa se ingurgitare anche quella o smettere e afferra la bottiglia di birra sudata, mentre schiocca la lingua e butta giù anche la fragola glassata.
 «Hai ragione, Rè. — mugugna, non troppo soddisfatta dall'accostamento di sapori. Sono dei tonti. Lasciali perdere.» e afferra un orsetto gommoso con una liquirizia farcita appiccicata alla pancia.
«Probabilmente è colpa dei segnali che non sappiamo dare. O che loro non sanno decifrare. Perché quando è sì, capiscono no e viceversa. Oppure rimangono infognati in un forse ed è pure peggio.» continua Rebecca, affogando nel fondo del bicchiere che la fa inciampare sulle parole.
«È vero, Rè» brontola Teresa, infastidita dalla birra calda e dalle pepite di torroncino dure, che spaccano i denti.
« Perché il punto sta nella differenza tra la piacevolezza, che non ha niente a che fare con l’erotismo o la passione, ma è quella sensazione che spinge ad approfondire una conoscenza e la frivolezza, che invece è alimentata dalla spinta pulsionale e lasciva verso l’altro e che non implica troppe sovrastrutture, né interpretazioni ma è orientata al soddisfacimento della mera energia sessuale.» racconta, tutto d’un fiato e senza pause, mettendosi a sedere e puntando l’indice al soffitto per dare più enfasi al discorso, Rebecca.
«Mmmm» borbotta distratta Teresa, prendendo in mano il cellulare illuminato e allontanando decisa la scatola delle zollette caramellate, che neanche innaffiate di vodka diventano commestibili.
«Beh» si rianima Teresa, sfregandosi le mani e guardando con occhi malandrini l’amica «Io vado!»
«Come vai? E dove vai?»
«E qualcuno dovrà pur mettere in pratica questa tua teoria sulla differenza tra piacevolezza e frivolezza no? Stasera inizio dalla frivolezza. Per la piacevolezza già abbiamo tempo. Tempo, Rè! Ci vuole tempo… e nel frattempo, mi porto avanti con quel discorso sull'energia pulsionale di cui parlavi. Ma tu tranquilla, eh… Continua pure a ragionare e a bere mojito. Ti racconto tutto domani.» E con un occhiolino e un sorriso malizioso, Teresa lascia il letto, i dolciumi, l’alcool e l’amica.
Perché si sa, quando la frivolezza chiama c’è poco da riflettere e pensare: semplicemente si va.


mercoledì 8 giugno 2016

Del vino, dell'ebbrezza e altri sogni: la danza di Matisse

Del vino, dell'ebbrezza e altri sogni: Matisse e Nietzsche
"La danza", H. Matisse-  1910. olio su tela- (Fauvismo)

Tra i tanti tasselli che compongono le mie reminiscenze, il libro  "La nascita della tragedia dallo spirito della musica" di Nietzschiana costruzione è tra quelli che si è ancorato con maggior tenacia tra le radici profonde della mia mente

Non so neppure dire bene perché, o forse sì, ma di quel lontano 2002 mantengo il ricordo preciso delle lezioni con un professore dall'accento morbidamente rotondo e frusciante; dell'enfasi e dell'esibizione piacevolmente teatrale e sublimamente accademica di un lessico tanto aulico da costringermi ad appuntare i termini da ricercare poi, a casa, nel dizionario. Era l'epoca della pura ricerca tra le pagine, quando ancora Google non aveva fatto la sua imponente entrata nelle nostre vite. 

Ricordo di aver seguito le lezioni con un'aspettativa sempre crescente, attendendo, di volta in volta, il disvelamento di quell'enigma che reggeva le sorti di una favola antica, fatta di contrapposte vaticinanti solarità apollinee e orgiastiche evanescenze dionisiache. 
Lezioni tenute legate al filo del mistero dell'interpretazione onirica dell'arte e della sua rappresentazione, con il fiato sospeso, quando il Sileno sentenzia l'incontrovertibilità della sciagura umana, con la sua demoniaca sagacia: la cosa più desiderabile e migliore per l'uomo?! (Omissis) 

Quel libro mi incantò da subito e ancora mi accompagna, sempre presente nel fare capolino dalle pile, sulla mia scrivania-comodino.
"Amico mio, questo solo è del poeta l'ardire,
il suo sognar intendere e capire.
Credi,  dell'uomo l'illusione più vera
è ciò che in sogno gli si rivela:
la poesia e l'arte di poetare
altro non è che i sogni interpretare." 

Ritmo, estensione, colore: la danza della vita, in attesa che giunga ciò che sia più desiderabile e migliore per l'uomo.

╰☆╮ 

venerdì 3 giugno 2016

In punta d'ardire: uno sguardo incrociato, può cambiare una storia.

Uno sguardo sviato può cambiare una storia #Inpuntadardire
Uno sguardo sviato può cambiare una storia... #Inpuntadardire

Cammina lenta... #inpuntadardire.


Nel novembre 2013, mi ritrovo a seguire la giostra di un caro amico che, imbastendo il suo sogno con la testa piena di musica e le mani piene di suoni, mi chiede di scrivere il testo di una canzone, per il suo primo album. E così, davanti a me le pagine dell' agenda e le parole che, al solito, si  animano di vita propria, prende fiato il testo della mia prima sperimentazione, un po' pasticciata in leggerezza, come sempre: In punta d'ardire.



In punta d'adire parla delle occasioni, di tutte quelle opportunità che si aprono quando incrociamo lo sguardo di qualcun altro. Anche quando siamo distratti o sospesi, sorpresi o indaffarati in altro. Alle volte abbiamo l'ardire di vivere appieno l'opportunità, altre volte le circostanze non lo permettono. È sempre come stare in bilico, in punta di piedi sulla vita, ma la forza di ognuno risiede nella profonda e radicata consapevolezza che ci saranno sempre altre opportunità da cogliere e tante altre che, pur se non verranno mai vissute, ci hanno comunque sfiorato, lasciando una qualche traccia in noi.


Con il tempo, la giostra diventa progetto realizzato e il 30 maggio 2016 esce "In punta d'ardire": primo album da solista di Gianni Carboni (www.giannicarbonimusic.com), che contiene 17 tracce di passione e anima, di lavoro e condivisione, di storie d'amore, di amicizia e di prospettive, perché la vita è guardare al mondo con fiducia, ognuno a proprio modo, sempre #inpuntadardire.

Il 01 giugno 2016, durante la presentazione ufficiale, viene lanciato in esclusiva il videoclip di "In punta d'ardire", che contiene un'altra giostra alla quale non ho saputo dire NO! ...Del resto , nella vita, #senonprovinonsai...  ma di questo vi racconterò un'altra volta. ;-)






In punta d’ardire

Cammina lenta
In punta d'ardire,
Lo sguardo distante
Il passo distratto.
L'acqua fangosa trascina detriti,
Stivali, fermagli, ciabatte, ricordi
E il fiume s'ingrossa, trascina pensieri.

Nella mente stanca
Di troppe illusioni,
Un incontro tradito
Può cambiare una storia.
E pensa a un giorno,
Di lontana memoria,
Uno sguardo incrociato,
Può cambiare una storia.

Si sfoglia nell'aria
Un vecchio giornale,
Rincorrono foglie
Le nuvole basse
E il vento annoiato
Le fa accartocciare.
Osserva pensosa
Un riflesso nell'acqua,
Tra spirali di luce,
Cancella ricordi.

Nella mente stanca
Di troppe illusioni,
Un incontro tradito
Può cambiare una storia.
E pensa a un giorno,
Di lontana memoria,
Uno sguardo incrociato,
Può cambiare una storia.

Nella mente ovattata
Da troppi colori,
Un incontro sperato
Può cambiare una storia.
E pensa ad un giorno
Di futura memoria,
Uno sguardo sviato

Può cambiare una storia

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mercoledì 11 maggio 2016

Mercurio passa davanti al sole: dinamismo astronomico nell'arte pittorica.



" O glorïose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno." 
DANTE, Paradiso, XXII, vv.112-114



Mercurio passa davanti al Sole visto nel cannocchiale. G. Balla. Arte, pittura, Futurismo
"Mercurio passa davanti al Sole visto nel cannocchiale", G. Balla
 1914. Tempera su tela 138×99 cm.
 Sammlung Mumok. Museum Moderner Kunst, Vienna, Austria.

09 Maggio 2016.Mercurio passa davanti al sole: un fenomeno astronomico raro, affermano gli esperti. Ed io lascio andare la mia fantasia e mi ritrovo nello studio di Giacomo Balla, futurista  prediletto, ad osservare, dal vetro affumicato del suo cannocchiale, l' evento, tra tempere, appunti e bozzetti e la frenesia eccitata di chi si immerge nel cambiamento, per coglierne le opportunità. 


Era il 07 novembre del 1914 e il Balla, nel suo studio ai Parioli in Roma, tra le 9:57 e le 14:09, osservava il cielo: orizzonti aperti sull'uscio del progresso, mentre delineava la sua ricerca per una "ricostruzione futurista dell'universo", producendo una serie di opere alle quali diede lo stesso titolo "Mercurio che passa davanti al sole". 



La visione dinamica caratterizza la spasmodica indagine, nel rappresentare il movimento che si scompone e ricompone, nella manifestazione delle parti che delimitano il tutto.



"Mercurio che passa davanti al sole (visto da un cannocchiale)", di Giacomo BALLA. 1914. Arte, pittura, Futurismo
"Mercurio che passa davanti al sole (visto da un cannocchiale)", G. BALLA.
 1914.Tempera su carta foderata 120x100.
Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.


Lo spazio si fonde, creando segmenti di distanze che generano percorsi e punti di fuga continui; lo spazio si sintetizza, intersecando immagini che riportano all'origine concettuale, smembrata e plasmata in nuova forma.


Spirali di colori, in caleidoscopici offuscamenti e vorticose strutture convesse, trascinano lo sguardo e lo guidano verso l'apice, in direzione del mercuriale punto nero, che incrocia l'astro che esplode in turbinosi avvolgimenti.




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lunedì 9 maggio 2016

Il treno: viaggio, viaggiare, riprese ed orizzonti.

Ragazza sul treno: riflesso lontano, in punta d'ardire
Treno: riflesso lontano.

A bordo del treno, quello stesso vecchio treno da studentessa pendolare, di una vita fa:treno di vagoni lunghi, con pareti di legno e sedute di pelle rossa e di fischi lunghi, in prossimità dei passaggi a livello, ormai incustoditi; treno di sbieco, che salta e rimbalza, sul terzo ponte della valle, inclinato a sfiorare lentischio, fico d'india e artemisia;treno di vociare e fermate di campagna; treno che va, treno che viene, treno che mi porta; sul treno come non sono mai stata.

Ogni viaggio è un percorso da compiere: la destinazione non è ancora definita, ma mi godo il tragitto. 


E se il senso del viaggio, è viaggiare; allora, bisogna rivolgere lo sguardo in direzione di nuovi orizzonti e lasciarlo andare.


In punta d'ardire.

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Viaggio in treno: in punta d'ardire

martedì 29 marzo 2016

Del concetto di rinascita e altri buoni auspici.

Riti d'assaggio, di passaggio e tentativi ferrati di pazienza: uova e galline.

Uova gallinate/Galline ovattate
Uova gallinate/Galline ovattate

Qualche giorno fa, del tutto casualmente,  ho rivisto  una cara amica, guida e compagna di percorsi formativi in una delle mie vite precedenti, vissute in questa vita. È, del resto, sempre stimolante fare i conti con gli effetti del tempo che cambia le circostanze e modifica gli assetti. Abbiamo chiacchierato piacevolmente, come sempre e, come sempre, mi è rimasta cucita quella sensazione tanto familiare del tempo che è passato senza lasciarmi neppure un avvertimento. Fa sempre così, il  mio tempo: descrive scenari nei quali dovrei essere protagonista consapevole e, invece, mi percepisco estranea in vita mia. Bisognerà che mi abitui, prima o poi. Forse!

Nel frattempo è arrivata la Pasqua, e anche la Pasquetta, e sono scivolate via veloci entrambe, in questo calendario ricorrente, un po' disordinato e spesso vorticoso. Mi incuriosiscono molto, i riti di passaggio: sono un volano di suggestive analisi e illusorie ricerche che, se pure non producono risposte né risolvono scoperte, almeno occupano un paragrafo rilevante nel manuale delle tradizioni popolari, culturali e socio-esistenziali. Così, mi sono lasciata prendere dal folletto delle sperimentazioni pasticciate, in cucina. Un po' di leggerezza, un pizzico di fantasia, qualche spunto carino qua e là et hoplà, la pozione è presto fatta.  Tra l'ancestrale passar oltre dell'etimologia pasquale e l'atavico interrogativo evoluzionista del primato dell'uovo o della gallina, sinergia di potenza ed atto, prerogativa di sillogismi e irrisolti arcani esistenziali, ecco, forse, alle volte, le sovrapposizioni sono una soluzione: uovo gallinato/gallina ovattata. La sintesi, intesa come univoca e decisiva scelta, non è  una strada che io riesca mai a praticare agevolmente: finisco sempre con il perdermi  tra gli arzigogoli fantasiosi e stravaganti del pensiero. 

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mercoledì 9 marzo 2016

Io, le amiche, Monet e #Nostivali a Torino

Monet: il dolore di un uomo, lo spazio tra il motivo e me.

In sospensione di sguardo velato.

Torino, GAM- febbraio 2016, #nostivali. 


Camille Monet sul letto di morte.
Camille Monet sul letto di morte (1879) olio su tela (90x68 cm), C. Monet

 Musée d'OrsayParigi

Tra le pennellate immerse di luce del mio prediletto Monet, delicati cromatismi di antagonisti complementari si miscelano in giochi d'acque riflesse. Mi riempio gli occhi di immagini evocative. L'impressione è un colpo alto che cattura lo sguardo e veicola la suggestione: non è il "come", che mi affascina, ma il "dove" mi conducano quei tocchi di colore minuziosamente studiati e disposti. Il riverbero di luce e riflessi inonda le tele e ondeggiano lievi, le barche sospese a filo d'orizzonte.


Le tavolozze di turchese e verde-acqua, da me sempre amate, si illuminano di vorticosi bianchi che, con mano ferma e sapiente, approfondiscono e schiariscono gli abissi. Variazioni formali e ricerca della luce, toni del blu violetto e gradazioni di oltremare prevalenti, con barlumi di gialli, aranciati e rossi, riflessi in lastre d'acqua solidificata che sembrano immobilizzare, nel sottopiano, il movimento del mondo sovrastante: il "mio" solito Monet.

Ma non sono le ninfee, né le bucoliche colazioni, le barche argentine o i giochi di ombrelli e piante, a imprimere il segno caratterizzante di ciò che mi rimane, del passaggio tra i corridoi di questa mostra.

Non riesco a distogliermi, piuttosto, dalla fascinazione inquieta e irreversibile della trasposizione che muta la vita in morte.
"Camilla Monet sul letto di morte" catalizza ipnotica la mia attenzione. Il capo chino e velato, abbandonato all'estrema fine, della donna non riesce ad acquietare la grave coltre di dolore che, invece, pare urlare la mano del pittore che la ritrae. E lì, in alto, sulla destra, percepisco irati e accusatori, gli occhi dell'innamorato che recrimina l'abbandono, in un rimprovero svelato.
Ma lo sguardo si adagia, placato, sul lenzuolo bianco, scivolando rapido sulle discromie del viso che si infossa, piegato dal rigore. 
Eppure... 

Claude Monet, Studio di figura en-plein-air – Donna con parasole verso destra, 1886. 
Olio su tela ( 131x88cm) , Musée  d'Orsay, Parigi
Eppure, ritorno lì, in alto. E aspetto di percepire la consolazione. Maturerà, con il tempo. 

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